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Pizza, pollo e zuppe: il sale nascosto nella cucina tradizionale

Published 1 week ago5 minute read

Ogni gruppo etnico ha la propria cultura alimentare, con alimenti preferiti e modalità di preparazione e consumo specifici, che svolgono un ruolo di coesione importante anche quando le persone risiedono in paesi lontani da quello di provenienza. La cucina tradizionale costituisce un legame identitario, che si delinea chiaramente quando si effettuano sondaggi e studi basati sulle abitudini. E di tutto ciò bisognerebbe tenere conto, quando si cerca di convincere le persone a utilizzare meno sale: se si rispettano le usanze, si hanno probabilità di successo molto maggiori.

A questa conclusione giunge uno studio effettuato dai ricercatori della Chan School of Public Health dell’Università di Harvard (Boston), appena pubblicato sull’American Journal of Heart Association, che ha fatto emergere anche un’altra informazione, valida per tutti. Pur includendo decine di piatti tipici dei principali gruppi delle minoranze (in questo caso statunitensi), è emerso che tre cibi universali hanno sempre un ruolo primario, come fonte dell’eccesso di sale, e sono sempre tra le prime dieci fonti: il pollo, la pizza e le zuppe pronte.

Per capire quale fosse l’influenza delle origini nell’assunzione di sale, i ricercatori hanno attinto ai dati del grande studio di popolazione National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) relativo agli anni compresi tra il 2017 e il 2020 e a diverse migliaia di persone, raggruppate poi in: messicani, ispanici non messicani, afroamericani, asiatici e caucasici. A tutti era stato chiesto di indicare che cosa avevano mangiato nelle 24 ore precedenti, e anche che tipo di sale o suo sostituto avessero utilizzato, quanto spesso e come (a freddo, durante la cottura e così via). Il risultato finale è stato un quadro con diverse specificità, ma anche alcuni tratti sempre presenti come, appunto, l’amore per pizza, pollo e minestre pronte, e alcuni luoghi comuni da sfatare.

Tra gli asiatici, quattro piatti spiccano per contenuto in sale, e cioè i condimenti a base di soia, le pietanze con pesce, riso fritto, chow mein (un piatto a base di noodles saltati in padella con verdure, soprattutto cipolla e sedano, carne o gamberetti, e conditi con una salsa a base di salsa di soia).

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Uno “sandwich italiano” farcito con prosciutto, salame, formaggio e peperoni apporta circa 3.110 (mg) di sodio

Tra i messicani e gli ispanici in genere figurano invece i tipici piatti compositi come le enchiladas, i tacos e i taquitos, le quesadillas, i burritos e così via, mentre tra gli afroamericani il sale proviene soprattutto dalle polpette di pollo e da altri tipi di carne macinata o lavorata. I caucasici hanno la cosiddetta dieta occidentale, e per loro il sale arriva dagli alimenti ultraprocessati, soprattutto da quelli pronti. Per esempio, uno solo dei cosiddetti sandwich italiani (con fette di pane da 15 cm), farcito con prosciutto, salame, formaggio e peperoni apporta in media, da solo, 3.110 milligrammi (mg) di sodio.

Per quanto riguarda le abitudini, gli afroamericani sono risultati quelli che più spesso cercano di diminuire l’apporto di sale: lo fa il 67% degli intervistati, contro il 47% dei caucasici, anche perché sono tra coloro che più spesso ricevono consigli il tal senso dai propri medici. Accade al 35% di loro, contro il 18% degli asiatici.

Questi ultimi sono invece quelli che aggiungono più spesso sale durante la cottura, ma anche quelli che lo fanno di meno una volta che il piatto è in tavola. Sugli asiatici, poi, i risultati hanno mostrato che, con ogni probabilità, i calcoli fatti finora sul loro apporto giornaliero sono sbagliati, perché basati sul presupposto che cuocessero sempre il riso in acqua salata. In realtà molti di loro non lo fanno e cuociono il riso senza aggiungere sale. Se fosse davvero così, andrebbero tolti 325 milligrammi di sodio, in media, e gli asiatici passerebbero dal primo all’ultimo posto, per consumo di sale.

Infine, nonostante i sostituti iposodici siano ormai presenti in tutti i supermercati e abbiano un prezzo sovrapponibile al sale classico, solo il 4% degli intervistati ne fa uso. E ciò probabilmente accade perché i medici non ne parlano abbastanza, e le persone non sanno che un gesto semplice come l’utilizzo di questi prodotti può essere utile nella lotta all’ipertensione.

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Gli asiatici sono quelli che aggiungono meno sale una volta che il piatto è in tavola

Un americano assume in media 3.350 mg di sodio al giorno (die), anche se il limite indicato è, in assenza di specifiche patologie, di 2.300 mg/die (circa 5 grammi si sale). Il valore scende a 1.500 se si deve ridurre la pressione, e diminuire di mille mg al giorno l’apporto di sodio ha effetti misurabili sulla pressione e sul benessere del cuore in generale.

Secondo gli autori, conoscere quali sono le principali fonti di sale può essere molto utile per aiutare le persone ad avvicinarsi di più ai valori ottimali, consigliando diete personalizzate a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Inoltre, più in generale, aiuta a individuare gli alimenti peggiori, da consumare con moderazione da parte di tutti, visto che ormai la dieta della stragrande maggioranza delle persone prevede anche piatti etnici come il sushi, o le specialità messicane oltre, naturalmente, a pizza, pollo e zuppe.

L’intervento sulla dieta può attenuare o annullare la necessità di ricorrere a terapie farmacologiche e andrebbe sempre promosso, così come andrebbero suggeriti sia i sali iposodici che gli alimenti ricchi in potassio (come patate, spinaci, fagioli, pomodori, frutta secca, pesce, yogurt, avocado, carote, prodotti a base di soia, banane, kiwi, albicocche, melone, arance e prugne secche), da accompagnare a una dieta che preveda una riduzione del sale. Quello sulla dieta rispettosa della provenienza etnica può essere ancora più efficace.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com IA

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