
Silvia Venturini Fendi in un'illustrazione di Jorge Arévalo.
A Silvia Venturini Fendi, terza generazione di una dinastia di moda, è toccato il destino di festeggiare i 100 anni del marchio di famiglia fondato nel 1925 a Roma dai nonni Edoardo Fendi e Adele Casagrande. Nel 1960 è entrata in azienda per sfilare come bimba-modella, nel 1987 è direttrice creativa di Fendissime, nel 1992 lavora accanto a Karl Lagerfeld, poi assume la responsabilità delle linee Accessori (nel 1997 fa nascere la Baguette) e Uomo. Nello scorso marzo ha mandato in passerella la collezione Fendi del centenario come unica direttrice creativa.
«Nessun limite, tante opportunità. Un marchio di un secolo ti fa sentire parte di un'istituzione, di una saggezza, una specie di aristocrazia della moda. Li ho affrontati in modo non didascalico, non storico. Ho ascoltato i miei sentimenti e i miei ricordi. Perché la doppia F per me non è un logo ma racchiude la storia di tutte le persone che hanno fatto questo marchio».
«Ho fatto aprire le porte della sfilata dai miei nipoti vestiti con lo stesso completo con il quale io ho sfilato a sei anni. E questo perché volevo che lo show fosse la quintessenza di Fendi. Con tutte le persone che l’hanno fatto».
«La sfilata dei 100 anni non lo è stata assolutamente. Karl (Lagerfeld, ndr.) avrebbe avuto orrore solo all'idea. Potrei raccontare i riferimenti alle collezioni passate in ogni vestito da donna e da uomo, ma a me interessa l’emozione. Volevo solo che si percepisse quanto sia bello questo lavoro e quanto un abito possa essere emozionante e farti sentire importante: possono aiutare a esprimerti. Per questo non mi serviva visitare gli archivi per disegnare la collezione».

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Per essere sempre aggiornato
attraverso il punto di vista di chi
la moda la vive dall’interno.

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«È una scelta. Mia madre e le mie zie hanno la- vorato insieme ma anche con Karl Lagerfeld, oltre che con me. Io ho lavorato con lui e anche con Kim Jones e lavoro con le mie figlie, Delfina (che aveva un suo marchio di gioielli ed è stata chiamata in Fendi da Jones) e Leonetta. Ma con loro ho lo stesso rapporto che ho con gli altri collaboratori, anche se è vero che condividiamo più tempo anche nel privato. Mi piace pensare che le mie figlie facciano qualcosa di simile a quello che faccio io: sono molto orgogliosa di loro. È un’esperienza che ho sperimentato da figlia: l’attitudine alla creatività si ha e si apprendere. Ma credo anche che essere una fashion designer sia diverso. Le donne designer non idealizzano le figure prima di disegnarle. A me interessa molto il dialogo del maschile-femminile perché in entrambe trasferisco parecchio delle mie sensibilità».
«La scienza fa tanti progressi che magari ci vedremo nei prossimi 100 anni... Ma credo che fra un secolo farò parte dell’archivio. Fendi avrà la naturale evoluzione dei marchi della moda, ma credo che il suo futuro sia nella riconoscibilità. E lo potrà fare salvaguardando e tramandando le conoscenze di tecnica artigianale e non soltanto un logo su un catwalk. Con quelle, Fendi potrà durare altri mille anni».