Brescia, da oggi, ha una ferita aperta che sarà difficile da rimarginare. Dopo 114 anni di storia, gloria, lacrime e orgoglio, il Brescia Calcio è ufficialmente fuori dal calcio professionistico. La causa è netta, spietata: il presidente Massimo Cellino ha deciso di non saldare i 3 milioni di euro necessari per coprire stipendi, contributi e ritenute degli ultimi mesi.
Il 6 giugno era la data limite: scadenza ignorata, promessa disattesa. E con quel bonifico mai partito, si spegne una delle storie calcistiche più importanti d’Italia.
Non è stata una sorpresa per chi da settimane seguiva le vicende del club con il fiato sospeso. Cellino aveva già annunciato a più riprese la sua volontà di non procedere con l’iscrizione, ma fino all’ultimo si era sperato in un colpo di coda, un atto di responsabilità, un gesto di amore verso la città. Invece, la decisione è stata definitiva: nessuna somma versata, nessun futuro nel calcio professionistico.
Una mossa vissuta da molti come una vendetta, una ripicca. L’ex presidente ha preferito affondare la barca, piuttosto che lasciarla in altre mani. Una chiusura brutale, che lascia attoniti migliaia di tifosi, dipendenti e famiglie.
Di fronte al disastro, il Comune si muove. La sindaca Laura Castelletti non ha perso tempo: ha convocato d’urgenza i presidenti delle squadre professionistiche della provincia – Feralpisalò, Lumezzane e l’Ospitaletto, appena promosso in Serie C – per tentare una soluzione d’emergenza. L’obiettivo? Evitare che Brescia riparta dai campionati dilettantistici più bassi e ridare subito un’identità calcistica alla città.
Al vaglio c’è la possibilità di una nuova società, con una nuova denominazione e un nuovo marchio, che possa ereditare – almeno simbolicamente – il testimone di una tradizione interrotta. Il dialogo è aperto e nei prossimi giorni dovrebbe esserci un incontro con l’amministrazione comunale.
La Loggia è diventata il centro operativo del salvataggio, ma il dolore è collettivo. Nei bar, sui social, nelle piazze: il Brescia non è solo una squadra di calcio, è un pezzo d’identità cittadina, un’eredità generazionale. Chi oggi indossa con orgoglio la maglia biancazzurra lo fa nel nome dei nonni, dei padri, degli amici con cui ha condiviso curve, trasferte, vittorie e delusioni.
Ma se è vero che il calcio ha il potere di rialzarsi, allora questa città saprà rinascere. Con dignità, coraggio e amore. Anche dai dilettanti. Anche da zero.
Oggi si chiude un capitolo. Doloroso, inspiegabile, forse evitabile. Ma non è la fine del calcio a Brescia. È solo un’altra pagina da scrivere.
Perché una città che ama così profondamente il suo sport non resta a guardare. E chi ha davvero a cuore il Brescia, non lascerà che questa storia finisca senza lottare.